Archive for the ‘dibattito’ Category

La Buona Scuola …

settembre 3, 2015

La buona scuola è quella di Giovanni Gentile

di Diego Fusaro
tratto da http://www.ilfattoquotidiano.it del 30 agosto 2015

Diego FusaroSi può certo dire quel che si vuole di Giovanni Gentile, criticarlo a fondo sia politicamente sia filosoficamente: mostrare i suoi errori nelle scelte politiche, evidenziare i suoi limiti nella pur grande e originale “riforma” che egli tentò della dialettica di Hegel. Come tutti i grandi pensatori, anche Gentile, pensando in grande, commise anche grandi errori. Gentile resta un grande, nonostante la sua adesione al fascismo.

Resta, poi, il fatto che, oltre a essere, con Gramsci, il più grande pensatore italiano del Novecento, Gentile ci ha lasciato un dono meraviglioso, per il quale dovremmo essergli eternamente grati: il Liceo classico. Come spesso accade, ci si accorge dell’importanza di una realtà a cui siamo abituati solo allorché essa comincia a venire meno, come accade quando manca l’aria: così è per il Liceo classico, la migliore scuola del mondo, concepita dal Gentile ministro dell’Istruzione, fautore della migliore riforma della scuola di cui il nostro Paese abbia ad oggi beneficiato; riforma, certo, discutibile finché si vuole, se si considera che già Gramsci, non senza buone ragioni, la accusava di classismo. Riforma discutibile finché si vuole, sì, ma pur sempre la migliore di cui questo Paese abbia beneficiato.

Resta, d’altro canto, il fatto che il Liceo classico ha reso possibile la superiorità culturale di intere generazioni di liceali italiani rispetto ai loro coetanei di tutto il mondo (provate ad andare in Germania o in Francia per accorgervene). Con l’insegnamento del latino e del greco, ma poi anche con il nobile progetto di formare uomini in senso pieno, unendo tra loro la paideia greca, la raison illuministica e la Bildung romantica, il liceo classico ideato da Gentile resta un unicum nel panorama mondiale e oggi, possiamo dirlo, una vera e propria forma di resistenza al generalizzato “cretinismo economico” (Gramsci) che la cosiddetta mondializzazione sta esportando in ogni angolo del pianeta: cretinismo in forza del quale sempre meno si pensa e sempre più si calcola, in un desolante paesaggio in cui il greco e il latino, la filosofia e l’arte sono liquidati come “inutili” (sic!) dalla stolida ragione calcolatoria che pretende di essere la sola sorgente di senso. Noto, per inciso, che in Spagna hanno già, nei licei, sostituito la filosofia con la finanza!

Giovanni GentileIl grande dono che Giovanni Gentile ci ha lasciato è ciò che oggi gli “specialisti senza intelligenza” (Weber) dei nuovi governi di centro-destra e di centro-sinistra stanno distruggendo: il latino e il greco, la storia dell’arte e della letteratura saranno presto sostituiti dall’inglese e dalla finanza, dal management e dall’impresa. La barbarie è alle porte e si presenta, con tono rassicurante, come “Buona Scuola”, proprio come i bombardamenti si chiamano “missioni di pace” e i colpi di stato finanziari si chiamano “governi tecnici”. Orwell era un dilettante: la realtà ha superato la fantasia, facendo apparire normale e plausibile l’inimmaginabile. La barbarie oggi imperante impone di valutare tutto sulla base del solo criterio dell’utilità, alla cui luce la filosofia e l’arte, la teologia e la storia risultano, evidentemente, indegne di essere coltivate e studiate. La stupidità non ha limiti.

Stiamo, in effetti, assistendo alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, smantellando le acquisizioni della riforma della scuola di Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso, della modernizzazione e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti e crediti, presidi managers, informatica e inglese in luogo del latino e del greco, e mille altre amenità coerenti con la ristrutturazione capitalistica della scuola). La situazione è, davvero, tragica ma non seria.

Anche un bambino si può accorgere di come i continui tagli dei finanziamenti destinati alla cultura (o, in forma complementare, il foraggiamento a flusso continuo delle eterogenee forme dell’ “idiotismo specialistico”) rispondono essi stessi a un programma politico opportunamente mascherato dietro le leggi anonime dell’economia.

Il silenziamento di ogni prospettiva critica viene oggi ottenuto non più tramite il ricorso alla violenza nelle sue forme dirette e plateali, dal rogo di Bruno e di Vanini alle torture dei non ortodossi di ogni tempo, bensì tramite la rimozione delle risorse necessarie per sopravvivere: vale a dire secondo un modo che – cifra della violenza come categoria economica immanente del capitalismo – rende in larga parte invisibile tanto l’azione dei carnefici quanto la sofferenza delle vittime. Il potere nichilistico della finanza e del capitale deve tagliare ogni testa pensante, sostituendola con il cretinismo economico delle teste calcolanti: la distruzione del liceo classico è una tappa fondamentale di questo criminale processo oggi in corso.

Antonio GramsciIl capitale non vuole vedere teste pensanti, esseri umani dotati di identità culturale e di spessore critico, consapevoli delle loro radici e della falsità del tempo presente: vuole vedere ovunque il medesimo, cioè atomi di consumo senza identità e senza cultura, in grado di parlare unicamente l’inglese dei mercati e della finanza.

Tossicodipendenza della Crescita

agosto 19, 2014

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La decrescita è uno slogan politico con implicazioni teoriche, una “parolabomba”, come dice Paul Ariès, che vuole far esplodere l’ipocrisia dei drogati del produttivismo.

 La parola d’ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessità dell’abbandono dell’obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte dei detentori del capitale, con conseguenze disastrose per l’ambiente e dunque per l’umanità.

 A rigore, sul piano teorico si dovrebbe parlare di acrescita, come si parla di ateismo, più che di decrescita. In effetti si tratta proprio di abbandonare una fede o una religione, quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo, di rigettare il culto irrazionale e quasi idolatra della crescita fine a se stessa.

 La nostra società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata. Questo sistema è condannato alla crescita. Non appena la crescita rallenta o si ferma è la crisi, il panico.

 Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti: la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi, e l’obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità.

 La pubblicità ci fa desiderare quello che non abbiamo e disprezzare quello che già abbiamo. Crea incessantemente l’insoddisfazione e la tensione del desiderio frustrato.

 Siamo diventati dei “tossicodipendenti” della crescita.

 Se la crescita producesse automaticamente il benessere, dovremmo vivere in un vero paradiso da tempi immemorabili. E invece è l’inferno che ci minaccia.

La nostra sovracrescita economica si scontra con i limiti della finitezza della biosfera. La capacità rigeneratrice della terra non riesce più a seguire la domanda: l’uomo trasforma le risorse in rifiuti più rapidamente di quanto la natura sia in grado di trasformare questi rifiuti in nuove risorse.

Serge Latouche

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il sonno della ragione

luglio 24, 2014

Contro-la-Piramide..Siamo sicuri che quanto ci dicono sulla Finanza, sul Debito, sul PIL, sulle Pensioni, sull’Euro, ecc, sia vero oppure aveva ragione, George Orwell quando scriveva nel libro  “1984”:

“Un bel giorno il partito avrebbe proclamato che due più due fa cinque, e voi avreste dovuto crederci. Era inevitabile che prima o poi succedesse, era nella logica stessa delle premesse su cui si basava il Partito. La visione del mondo che lo informava negava, tacitamente, non solo la validità dell’esperienza, ma l’esistenza stessa della realtà esterna. Il senso comune costituiva l’eresia delle eresie. Ma la cosa terribile non era tanto il fatto che vi avrebbero uccisi che l’aveste pensata diversamente, ma che potevano aver ragione loro. In fin dei conti come facciamo a sapere che due più due fa quattro? O che la forza di gravità esiste davvero? O che il passato è immutabile? Che cosa succede, se il passato e il mondo esterno esistono solo nella vostra mente e la vostra mente è sotto controllo?”

il bisogno di nazione

luglio 10, 2014

Etnieuropa

«Credo pertanto che siamo sull’orlo di alcune decisioni che potrebbero rivelarsi disastrose per l’Europa e per il mondo, e che ci rimangano solo pochi anni per far tesoro della nostra eredità. Oggi più che mai risuonano veri i due versi del Faust di Goethe: “Ciò che avete ereditato dai vostri antenati, guadagnatevelo, in modo da poterlo possedere”. Negli Stati nazionali europei, abbiamo anche noi bisogno di riguadagnare quella sovranità che le generazioni precedenti alla nostra hanno così laboriosamente plasmato dall’eredità della Cristianità, dei governi imperiali e delle leggi romane. Una volta guadagnato questo patrimonio, l’avremo riconquistato, e una volta conquistato saremo in pace all’interno dei nostri confini» (Roger Scruton)

La Presa del Potere

agosto 18, 2013

la presa del potere

[parlato]: Un mastino. Un mastino nero, lucido, metallico. Un cane mastino con un occhio solo, vitreo, in mezzo alla fronte. Una mano che schiaccia un bottone. Dall’occhio del mastino parte un fascio di luce intensa, verdastra, elettrica…
Psss… psss… psss…

Avvolti in lucidi mantelli
guanti di pelle, sciarpa nera
hanno le facce mascherate
le scarpe a punta lucidate
sono nascosti nella sera.

Non fanno niente, stanno fermi
sono alle porte di Milano
con dei grossissimi mastini
che stan seduti ai loro piedi
e loro tengono per mano.

Han circondato la città
la stan guardando da lontano
sono imponenti e silenziosi.
Chi sono? Chi sono?
I laureati e gli studiosi.

E l’Italia giocava alle carte
e parlava di calcio nei bar
e l’Italia rideva e cantava.

Psss… psss…
Ora si muovono sicuri
coi loro volti mascherati
gli sguardi fissi, minacciosi
vengono avanti silenziosi
i passi lenti, cadenzati.

Portano strane borse nere
piene di oggetti misteriosi
e senza l’ombra di paura
stanno occupando i punti chiave
tengono in pugno la Questura.

Dagli occhi chiari dei mastini
parte una luce molto intensa
che lascia tutti ipnotizzati.
Chi sono? Chi sono?
L’intellighenzia e gli scienziati.

E l’Italia giocava alle carte
e parlava di calcio nei bar
e l’Italia rideva e cantava.

Psss… psss…
Ora lavorano più in fretta
hanno moltissimi alleati
hanno occupato anche la RAI
le grandi industrie, gli operai
anche le scuole e i sindacati.

Ora si tolgono i mantelli
son già sicuri di aver vinto
anche le maschere van giù
ormai non ne han bisogno più
son già seduti in Parlamento.

Ora si possono vedere
sono una razza superiore
sono bellissimi e hitleriani.
Chi sono? Chi sono?
Sono i tecnocrati italiani.

[parlato]: Eins zwei, eins zwei, alles kaputt!

E l’Italia giocava alle carte
e parlava di calcio nei bar…

(Giorgio Gaber – 1973)

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uso ed abuso di democrazia…

luglio 22, 2013

uso ed abuso di democrazia...

Si snatura la democrazia facendo dimenticare che essa è una forma di regime politico, prima che una forma di società. Si snatura la democrazia presentando come democratici tratti di società – come la ricerca d’una crescita illimitata di beni e merci – inerenti invece alla logica dell’economia capitalista: «democratizzare» significherebbe produrre e vendere a ceti sempre più larghi prodotti dal forte valore aggiunto. Si snatura la democrazia favorendo condizioni per il caos istituzionalizzato, reso sacro come solo ordine possibile, come esito di una necessità storica davanti alla quale ognuno, per «realismo» («il buon senso delle canaglie», lo chiamava Bernanos), dovrebbe piegarsi… L’ideale della governance, il modo di rendere non democratica la società senza affrontare la democrazia: senza sopprimerla formalmente, si lavora a un sistema di governo senza popolo. Se del caso, contro. (Alain de Benoist)

che cos’è la destra, cos’è la sinistra….

luglio 18, 2013

che cos'è la destra, che cos'è la sinistra....

« Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente »     B.M.

INVECE DELLA CATASTROFE

marzo 8, 2013

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GIOVEDI 21 MARZO ORE 18.00 / CHIOSTRO DI SAN FRANCESCO / OSIMO (AN)

Crisi finanziaria, climatica, dei rifiuti, dell’acqua, demografica, energetica:
perché costruire l’Alternativa è ormai indispensabile.

Quello che non ci dicono è che la catastrofe climatica, finanziaria, energetica, è più vicina di quanto si creda e che chi ci sarà si giocherà il tutto per tutto (guerre, disinformazione, sospensione della democrazia) per continuare ad avere in abbondanza ciò che per gli altri scarseggerà. Quello che non ci dicono è che l’Alternativa esiste, ma fa troppa paura a chi ha il potere per metterla in atto. Quello che non ci dicono è che la soluzione dipende da tutti noi.

Dopo i bestseller Zero e Zero2, Giulietto Chiesa ci svela i retroscena della catastrofe in cui stiamo precipitando in un nuovo provocatorio libro-denuncia.

E propone una via d’uscita.  Invece della catastrofe 

  • Giulietto Chiesa ad Osimo per la presentazione del suo ultimo libro: “Invece della Catastrofe – perchè costruire un’alternativa è ormai indispensabile” – evento organizzato da Cantiere Permanente ed Osimo Più.Con l’autore ne discuterà il giornalista Antonio Prenna.Presentazione di Alessandro Alessandrini

LA LIBERTA’ NON E’ STAR SOPRA UN ALBERO

dicembre 5, 2012

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Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono ad un pastore per le sue greggi.

Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto questi lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in un branco. È questo l’incubo dei potenti.

(ALESSANDRO ALESSANDRINI da Ernst Junger)

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“E QUINCI IL MAR DA LUNGI E QUINDI IL MONTE”

ottobre 25, 2010

Dialogo tra Alessandro Moscè e Umberto Piersanti

Moscè: Ho l’impressione che la poesia da salvaguardare sia sempre di più quella che coglie il reale nella sua concretezza, che dia risposte o che offra interrogazioni sui temi assoluti dell’esistenza umana. Non per esprimere un giudizio di valore e una presa di posizione inflessibili, ma per ritornare a quella “poesia onesta”, per dirla con Saba, che esprima un’“ansia di senso”. Eppure oggi i contrasti ideologici, le dispute e le frizioni, le scuole di pensiero abbondano e continuano a creare più dissipazione che altro.

Piersanti: Viviamo una fase dove ci siamo liberati delle ossessioni del passato, della dittatura delle avanguardie. La poesia, oggi, ha molti indirizzi di ricerca, molte possibilità. Nonostante questo trionfano in modo quasi assoluto due soli indirizzi di ricerca. Da un lato uno sperimentalismo totalizzante, dall’altro una poesia prosaica e quotidiana, anti-lirica, di derivazione lombarda. Viene accolta anche una terza linea che sviluppa una tendenza mitopoietica (Conte, De Angelis, Mussapi). Chiariamo subito che viviamo in un’epoca in cui nessuno ha il bastone del comando in mano, anche se è rimasta viva una certa polemica contro la dimensione lirica, che pure ha avuto una grande tradizione. Non si tratta di avallare la ripetizione pedissequa di una scrittura ottocentesca, ma i sentimenti, le emozioni e le vicende sono elementi da difendere, nella poesia, anche contro il rischio di un esasperato lirismo o liricismo. Certo, la nozione di canto non può avere regole fisse, ma un tremore d’aria rimane un tremore d’aria, e può essere cantato con un ritmo franto. Aveva ragione Giorgio Caproni: la poesia non è musicale, è musica. Rimangono ancora alcuni pregiudizi di fondo, alcune parole che la critica italiana ha messo al bando e che voglio sfatare: idillio, nostalgia, elegia, che sono vere e proprie categorie, archetipi dello scrivere. Facciamo un esempio: l’elegia può significare il ritorno in un luogo dove si è stati bene nell’infanzia. Se torno da solo e quel luogo l’ho attraversato al fianco di una persona amata durante l’infanzia, la nostalgia e la tenerezza prendono il sopravvento. Non perché l’infanzia di ieri sia migliore di quella di oggi, ma perché quella che ricordo è stata la mia infanzia.

Moscè: “Pelagos” si è imposto all’attenzione di un certo pubblico come rivista cartacea. Ora si trasforma in una rivista online. Ci sono dei punti fermi, dei presupposti che hanno contraddistinto per anni questo periodico. E sono convinzioni che ritornano, considerate imprescindibili anche adesso. Spieghiamo in quale poesia si crede, pur senza chiudersi a riccio.

Piersanti: Una poesia con più strade e non solo circoscritta nel sociale. Impegno e rivoluzione linguistica spesso si sono sposate, e di questi tempi tutto è ridotto a consumo, lo scambio ha soppiantato l’uso. Lukács riconobbe ben poco a Hörldelin rispetto ai romanzieri, ritenendo la poesia eccessivamente individualista e decadente. Secondo Lukács il soggetto in grado di afferrare e penetrare quella totalità che costituisce il reale, era la classe sociale. L’arte doveva spiegare il tipico, i personaggi devono essere ben determinati e non solo rappresentare un determinato ceto e una determinata classe, ma anche in un qualche modo incarnare e prefigurare i mutamenti della storia. Julien Sorel, ad esempio, non è solo il rappresentante di una piccola borghesia che il mondo napoleonico aveva portato alla ribalta, ma incarna gli aspetti di un borghese futuro e diverso che solo gli anni seguenti avrebbero pienamente rivelato. Il tutto senza perdere le caratteristiche specifiche di un personaggio concreto e determinato che non viene mai ridotto ad una mera esemplarità sociale. Il marxismo non amava la poesia perché la poesia è al di sopra della storia, attraversa la storia con gli archetipi, appunto. Se Saffo vedeva l’amica andare a nozze tremava e balbettava: se qualcuno oggi vedesse la sua fidanzata amoreggiare con un altro, proverebbe più o meno le stesse sensazioni della poetessa greca. L’amore, la paura della morte, la perdita della giovinezza hanno una consistenza antropologica, non storica. Stiamo parlando di un’individualità universale. Quello di Paolo e Francesca è un dramma che potrebbe essere vissuto anche ai nostri giorni.

Moscè: Ti offro uno spunto di riflessione dal quale vorrei una disamina da sociologo della letteratura. La poesia non è un prodotto di mercato, sembrerebbe di poter dire neppure provocatoriamente. Qualcuno considera questa marginalità come un punto di forza. Non sono d’accordo. Comprendere e valutare la poesia, appassionarsi ad essa vuol dire anche, soprattutto leggerla. C’è da recuperare un potenziale pubblico della poesia, diventato una razza in estinzione. Emily Dickinson scrisse che “non esiste un vascello veloce come un libro di poesia per portarci in terre lontane”. Come crederci ancora, nel 2010?

Piersanti: Il dramma editoriale della poesia è che oggi due milioni e mezzo di persone hanno pubblicato testi almeno in un foglio parrocchiale, ma la lettura è pressoché inconsistente. Se va bene un libro di poesia vende 1.500 copie, non di più. Non sono per le masse populiste, ma penso che un pubblico da archeologia assira sia un male. Come penso che le poesie contro Berlusconi siano più un manifesto di propaganda che altro. E lo dice uno tutt’altro che berlusconiano. C’è senz’altro l’esigenza di allargare il pubblico. Credere in una poesia legata alla vita, alla forma senza cedere ai formalismi, essere attenti ad un presente che non sia cronaca, magari anche alla poesia civile intesa però in senso alto. Ossi di seppia di Eugenio Montale aveva un unico personaggio, Esterina, ed era per lo più un libro di eucalipti, agavi e formiche rosse. Eppure si sentono moltissimo gli anni Venti. Sosteneva Michael Hamburger che una poesia può parlare anche delle striature di un tulipano, ma se è vera poesia parlerà del mondo.

Moscè: Nella rivista non ci occuperemo solo di poesia, però. Affronteremo anche il mondo della narrativa, che appare sempre più in declino. Non da un punto di vista della ricezione del pubblico, evidentemente, ma della qualità. La narrativa italiana assomiglia alla fiction televisiva e cinematografica. Sembra che ne sia diventata addirittura la copia. Fino agli anni Ottanta succedeva esattamente l’inverso.

Piersanti: Alcuni giorni fa Alain Elkann ha fatto una giusta constatazione. Negli anni Sessanta nelle classifiche dei libri c’erano Calvino, Moravia, la Morante. Oggi Melissa P, la Littizzetto o scrittori di scarso valore come Moccia, che sono molto diffusi. Gualtiero De Santi sostiene che se arrivasse Proust alla Mondadori o alla Rizzoli, gli risponderebbero: “dov’è il plot nella sua scrittura?” Il giallo è diventato imperante e il genere comanda. Giallo, ma anche fantasy e horror. Si segue una moda, nient’altro. Come vanno di moda maghi e veggenti, e siamo tornati ai tempi precedenti la Rivoluzione Francese. Oggi tutto può passare in un casa editrice, ma si tratta di ristabilire una scala di valori in un contenitore che non seleziona più nulla. La narrativa non può non raccontare un mondo e non avere un’ambientazione. Ci si deve affidare alla percezione, del tutto persa da parte degli editori, di un lavoro e di una conoscenza di fondo.

Moscè: Quale potrebbe essere uno slogan di “Pelagos”, detto in poche righe? Quale percorso seguirà, tra testi inediti, interventi, interviste e recensioni pubblicati on line?

Piersanti: I testi, le recensioni e gli interventi dovranno avere uno specifico valore senza ricorrere a chiusure aprioristiche. Ci opporremo alla dittatura mass mediatica sapendo che i mass media non vanno demonizzati e neppure subiti.

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